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Radicolopatia Lombare: indicazioni chirurgiche

27 Giugno 2022
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1.0 IL TRATTAMENTO CHIRURGICO D’EMERGENZA.

Le indicazioni per il trattamento chirurgico d’emergenza sono limitati a quelle situazioni di patologia degenerativa spinale in cui un ritardo dell’intervento può portare a sequele potenzialmente catastrofiche ed irreversibili.

Per la verità sono situazioni di raro riscontro nella pratica clinica. Gli scenari più tipici sono la sindrome della cauda equina ed il deficit radicolare motorio progressivo.

La sindrome della cauda equina è una evenienza rara nella quale la maggior parte delle radici nervose della cauda equina vengono improvvisamente compresse con repentina perdita della funzione motoria, della sensibilità in sede perineale, delle funzioni sfinteriche (vescica e/o intestino) e sessuali.

Il deficit radicolare motorio progressivo è una situazione patologica simile, caratterizzata da un deficit motorio progressivo agli arti inferiori, correlato alla compromissione radicolare di una o due radici nervose. Il quadro di maggior frequenza è il “piede cadente” da compressione delle radici L5 e/o L4.

La gravità del quadro clinico è espressa dai gradi del MANUAL MUSCLE TESTING (MMT) secondo la Medical Research Council Scale:

0         NESSUNA CONTRAZIONE MUSCOLARE

1         TRACCE DI CONTRAZIONE

2         MOVIMENTO ATTIVO, NON ANTIGRAVITARIO

3         MOVIMENTO ATTIVO CONTRO GRAVITA’

4         MOVIMENTO ATTIVO CONTRO GRAVITA’ E RESISTENZA

5         FORZA MUSCOLARE NORMALE

Nella maggior parte dei casi entrambe le situazioni cliniche riconoscono come causa un’ernia discale acuta con compressione radicolare, specie se l’esordio dei sintomi è improvviso. Possono esservi altre cause quali cisti sinoviali, stenosi lombare, spondilolistersi e altre patologie compressive quali infezioni e tumori.

L’imaging radiologico di scelta è la risonanza magnetica. Lo standard of care sia della sindrome della cauda equina che del deficit radicolare motorio progressivo è la decompressione chirurgica precoce , cioè entro 48 ore. Anche un recupero funzionale parziale , in questi pazienti, fa la differenza nella vita di tutti i giorni.

 

1.1 IL TRATTAMENTO CHIRURGICO IN ELEZIONE.

Per quanto riguarda le indicazioni alla chirurgia, non sono stati identificati fattori predittivi che possano determinare quali pazienti probabilmente miglioreranno per proprio conto e quali trarranno vantaggio dalla chirurgia. La maggior parte dei casi (oltre l’ 85% a 6 settimane) dei pazienti affetti da lombalgia (compresi quelli in cui la lombalgia è dovuta alla presenza di un’ernia discale) si risolvono da sé con il trattamento conservativo.

Le indicazioni chirurgiche in pazienti con un’ernia discale sono:

1)        fallimento del trattamento non chirurgico per il controllo del dolore dopo 5-8 settimane: oltre l’85% dei pazienti miglioreranno senza intervento chirurgico in un periodo di 6 settimane (il 70% in 4 settimane). Il paziente deve essere sintomatico e i suoi sintomi devono collimare con i reperti dell’esame obbiettivo e di neuro-imaging. Ci si deve ragionevolmente attendere che l’intervento chirurgico migliorerà i sintomi del paziente ed il suo stato funzionale. Infine, ciò che ci si attende come miglioramento deve giustificare i rischi di complicanze chirurgiche.

2)        EMERGENT SURGERY, cioè prima delle 5-8 settimane. Nella sindrome della cauda equina, nel deficit motorio progressivo.

3)        URGENT SURGERY : quando il dolore resta intollerabile nonostante una adeguata terapia analgesica con oppioidi

4)        Nei pazienti che non accettano un trial di trattamento non chirurgico.

Nei pazienti affetti da discopatia degenerativa ad uno o a due livelli e con dolore lombare cronico persistente da oltre 2 anni gli interventi di fusione – confrontati con una intensa terapia fisica – comportano – dopo 2 anni –  un miglioramento molto modesto. Per quanto riguarda l’ernia discale con dolore e sintomi radicolari i risultati a distanza – confrontati con la terapia conservativa –  sono di interpretazione non completamente chiara.

Il candidato “ideale” potrebbe essere un paziente affetto da dolore all’arto inferiore irradiato al dorso del piede, ipostenia della dorsi flessione dell’alluce, ipoestesia nel primo spazio interdigitale e netta positività della manovra di Lasègue diretta e crociata, con ernia del disco in L4-L5. in questo caso i reperti clinici e radiologici delineano una compressione della quinta radice lombare. Altre caratteristiche del paziente ideale sono un forte desiderio di ritornare a lavorare, l’assenza di cause legali o di rivendicazioni assicurative nel proprio ambito lavorativo e l’assenza di fattori psicologici negativi, quali la depressione. Anche in questi casi – tuttavia – restano senza risposta alcuni quesiti relativi a QUANDO pianificare in modo ottimale l’intervento chirurgico, QUALE tecnica adottare per la discectomia e COME delineare la riabilitazione post-operatoria.

Purtroppo solo pochi pazienti possono essere considerati “ideali”. La maggior parte di essi presenta segni incompleti di deficit sensitivo e motorio. Mentre da una parte ciò rende più difficile supportare l’indicazione chirurgica, dall’altra questa situazione non rappresenta una controindicazione alla chirurgia e le casistiche riportano percentuali di successo di circa l’85% in pazienti con segni incompleti di deficit sensitivo e/o motorio.

OPZIONI CHIRURGICHE.

Il trattamento chirurgico elettivo della radicolopatia da ernia discale è rappresentato dalla decompressione diretta della radice tramite asportazione dell’ernia. Il termine discectomia è quello più largamente impiegato per descrivere l’intervento di escissione dell’ernia discale. Ancora oggi la terminologia non è uniforme e i termini di erniectomia (“sequestrectomy” della letteratura anglo- sassone) o discectomia parziale sono talvolta utilizzati in alternativa. La discectomia può essere distinta in standard (con incisione classica e visualizzazione diretta dell’ernia) e microdiscectomia (con l’ausilio del microscopio e accesso con incisione cutanea di dimensioni inferiori).

La scelta della metodica può dipendere dalle preferenze e dall’esperienza del chirurgo, dalle risorse disponibili e dai quadri anatomo-patologici (ernie discali a più livelli, ernie migrate, ernie associate a stenosi con necessità di foraminotomie ecc.). La discectomia consiste nell’asportazione isolata dell’ernia, venendo talvolta denominata discectomia parziale o selettiva oppure erniectomia o sequestrectomia; l’asportazione può essere associata anche a trattamenti aggiuntivi a carico del disco, prendendo il nome di discectomia completa o radicale oppure di svuotamento del disco o crettage.

Una volta presa la decisione di intervenire chirurgicamente, esistono varie opzioni:

A) Discectomia standard aperta (il 65% – 85% dei pazienti non avevano dolore radicolare un anno dopo l’intervento mentre nella conservativa solo il 36%). I risultati a lungo termine (>1 anno) erano uguali.

B) E’ simile alla procedura standard ma impiega una incisione più corta. L’efficacia complessiva è simile alla discectomia standard. E’ da preferire per la minore invasività sulla colonna ed è oggi considerato il gold standard.

C) Erniectomia: non sono state evidenziate in letteratura sostanziali differenze di risultato (dolore residuo, recupero funzionale, durata dell’ospedalizzazione, complicanze e recidiva dell’ernia) fra interventi di asportazione del solo materiale discale erniato rispetto alla erniectomia associata al curettage del disco. La scelta quindi può variare in rapporto ai quadri clinici e all’esperienza del chirurgo.

D) Procedure intra-discali (chemionucleolisi; nucleotomia percutanea, discectomia intradiscale endoscopica percutanea; terapia endotermica intradiscale IDET; decompressione discale con laser. Le procedure intradiscali sono molto controverse. Il vantaggio teorico riguarda l’assenza di cicatrice epidurale e l’incisione cutanea è molto corta o addirittura puntiforme.

Il dolore post-operatorio dovrebbe essere ridotto come pure la degenza ospedaliera (spesso le procedure sono effettuate in regime ambulatoriale). Problemi aperti: rimuovono materiale discale al centro dello spazio intervertebrale – che non provoca sintomi e si basano sulla riduzione della pressione intradiscale per decomprimere la porzione erniata di disco dalla radice. Le metodiche intradiscali sono indicate in circa il 10% – 15% dei pazienti candidati all’intervento chirurgico. Complessivamente, le procedure intradiscali non trovano indicazioni in quanto mancano trials rigorosi e controllati. I sostenitori delle ISP (INTRADISCAL SURGICAL PROCEDURES) le propongono nei casi di ernie contenute, soprattutto in L4-L5 e non nei pazienti con grave deficit neurologico.

Il NORTH AMERICANSPINE SOCIETY COVERAGE COMMITTEE nel 2014 ha dichiarato che ad oggi la decompressione discale con laser non trova indicazioni, in mancanza di trials clinici di elevata qualità. Per quanto riguarda la discectomia lombare endoscopica percutanea, essa è essenzialmente una procedura intradiscale indicata soprattutto per ernie discali contenute, sebbene possano essere rimossi piccoli frammenti discali non contenuti. Ad oggi mancano studi ampi e randomizzati per comparare questa tecnica con la discectomia open standard (con o senza microscopio).

L’IDET è efficace nel 23% – 60% dei pazienti a 1 anno per il trattamento del dolore discogeno (pazienti affetti da lombalgia cronica).

La chirurgia dell’ernia discale è indicata se la sciatica non si risolve in 6-8 settimane ed ha una percentuale di successo > 80% (dolore e disabilità). Se l’intervento viene effettuato precocemente il recupero del disturbo motorio è più veloce.

La laminectomia per l’ernia discale è stata introdotta nel 1934. La microdiscectomia è oggi la metodica più frequente.

La tecnica mini-invasiva della discectomia intralaminare trans-muscolare tubolare è stata introdotta nel 1997 con l’intento di sostituire la dissezione muscolare sottoperiostea mediante un approccio trans-muscolare, cioè separando le fibre muscolari. L’uso del retrattore tubolare per la chirurgia lombare è stato descritto da Foley e Smith aveva come scopo il superamento delle limitazioni della nucleotomia percutanea e dell’approccio trans-foraminale endoscopico percutaneo. In particolare Foley aveva sperimentato l’impossibilità di decomprimere adeguatamente la radice nervosa con la nucleotomia con il risultato di dover rioperare parecchi pazienti.

Il sistema consiste in una serie di dilatatori concentrici e retrattori tubulari di varia lunghezza. L’accesso alla colonna avviene attraverso una dilatazione seriale fra i fasci muscolari.

Lo spessore del retrattore è di 0.9 mm e definisce un corridoio chirurgico attraverso i muscoli paraspinosi. Il retrattore tubolare viene mantenuto fisso mediante un braccio articolato riposizionabile, collegato al tavolo operatorio. Le strutture della linea mediana restano intatte.

L’intervento può essere eseguito usando il microscopio operatorio, gli occhialini di ingrandimento, l’endoscopio come singoli strumenti o una combinazione di tecniche. In teoria ciò dovrebbe comportare un minor danno tessutale con maggior velocità di recupero. Se confrontata con la metodica tradizionale, i risultati sono simili.

Vantaggi delle tecnica con retrattore tubulare:

  • riduzione del dolore post-operatorio
  • mobilizzazione più veloce
  • ospedalizzazione ridotta
  • ritorno al lavoro e alle attività quotidiane più veloce

 

In un lavoro multicentrico in doppio cieco sono stati confrontati gli esiti a distanza su due popolazioni di pazienti: 167 casi operati con discectomia tubulare e 161 operati con microdiscectomia convenzionale.

L’esito principale era la valutazione funzionale (roland-morris disability questionnaire) per la sciatica a 8 settimane e a 1 anno dopo la randomizzazione.

A 1 anno di follow up sono state osservate differenze statisticamente significative a favore della microdiscectomia convenzionale, che peraltro comporta una minor incidenza di recidive (7%) versus l’11% della tecnica tubolare.

Una alternativa alla microdiscectomia convenzionale e mediante retrattore tubolare è rappresentata dalla DISCECTOMIA ENDOSCOPICA TRANS-FORAMINALE PERCUTANEA (PTED). Questa tecnica comporta un accesso percutaneo laterale attraverso un canale di lavoro trans- foraminale.

Il confronto mediante rassegna sistematica fra la microdiscectomia convenzionale e la PTED riguardante i risultati fondamentali (dolore lombare e dolore radicolare) non evidenzia differenza fra PTED e microdiscectomia convenzionale.

Un altro aspetto della chirurgia del disco lombare riguarda l’alternativa fra la rimozione del solo frammento estruso (sequestrectomy nella letteratura anglo-sassone) e lo svuotamento dello spazio intervertebrale.

La rimozione del solo frammento estruso è particolarmente indicata quando il difetto annulare è piccolo. Ciò può comportare una maggior percentuale di recidive, controbilanciata – tuttavia –  da minor dolore lombare post-operatorio e da una migliore conservazione dell’architettura rachidea. Studi sistematici recenti dimostrano che gli effetti sul dolore radicolare e lombare sono simili, come pure l’esito funzionale. Anche le complicanze sono uguali.

Attualmente il gold standard è rappresentato dalla microdiscectomia con asportazione del frammento estruso senza svuotamento dello spazio intervertebrale. Resta una opziona valida la terapia conservativa protratta.

 

COMPLICANZE DELLA CHIRURGIA STANDARD.

La mortalità è di circa 6 decessi ogni 10 mila casi operati, legati a setticemia, infarto del miocardio o embolia polmonare

Complicanze frequenti:

  • infezione. Le infezioni possono essere cutanee superficiali (0.9% – 5%). Rischio aumentato nel
  • paziente anziano, dopo somministrazione cronica di steroidi, nel paziente obeso e forse nel p. diabetico. Le infezioni profonde incidono per <1%. (discite, ascesso spinale).
  • Aumento del deficit motorio: dall’1% all’8%. Il deficit può essere transitorio.
  • Durotomia: 0.3% – 13%. Il rischio sale al 18% nei re interventi. La fistola liquorale che necessita di una riparazione chirurgica si verifica in circa 10 casi ogni 10 mila interventi. Lo pseudo meningocele può verificarsi nello 0.7% – 2% dei casi. Dal punto di vista radiologico è simile all’ascesso epidurale spinale.
  • Recidiva dell’ernia : nello stesso livello 4% dei casi entro 10 anni di follow up. Ritenzione urinaria post-chirurgica: è di solito temporanea.

 

Complicanze infrequenti:

  • lesioni di strutture anteriori al corpo vertebrale: grossi vasi (aorta per interventi sopra L4; arterie iliache_; vena cava, vene iliache comuni); ureteri, intestino ileo.
  • Meningite
  • Sindrome della cauda equina
  • Aracnoidite post-chirurgica.

 

 




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